Luigi Fait, musicologo, Capo struttura dei programmi musicali Raìuno, Critico musicale de “L’Osservatore Romano’’, Collaboratore dei programmi musicali della Radio Vaticana

“La crisi del linguaggio sonoro del nostro tempo corre certo di pari passo con quella dei valori sociali, religiosi, ambientali. Da una parte, il compositore frequenta i conservatori e le accademie per apprendere una tecnica colma, sì, di secolari esperienze, ma anche di terrorizzanti divieti; dall’altra, lo stesso giovane maestro “passeggia” nel bel mondo e, incoraggiato da esempi illustri, assapora libertà sempre più assurde. Qualche “pentito” conferma semmai la regola del disastro: una babele che Schònberg prevedeva del resto sul letto di morte, ricordando nel contempo ai discepoli che si sarebbe potuto ancora scrivere molta musica “in do maggiore”. Il preambolo alla mia definizione di chi sia e dove si stia incamminando Marco D’Avola era doveroso. Formatosi a prestigiose scuole in cui spiccano i nomi di Sacchetti, Canino, Campanella, egli sembra quasi estraneo a tale crisi. Mi è stato sufficiente ascoltare alcuni suoi lavori e analizzarne i contenuti per avere la certezza del mio giudizio. D’Avola resta fedelissimo a se stesso, al proprio credo artistico: guarda dal balcone i Cage-Bussotti-Donatoni-Boulez-Stockhausen e concepisce le proprie creature quasi isolandosi, però con giusta dottrina, con straordinaria fede nell’etica oltre che nell’estetica delle vicende sonore. Ho gustato varie opere di Marco D’Avola e mi hanno profondamente colpito il Concerto per organo e orchestra “Ad maiorem Dei gloriam”, la Messa di Requiem per coro, orchestra e organo, la Toccata e Corale “Excel- sus super omnes” op. 29 per organo, a cui dovrei aggiungere molte altre pagine sia profane, sia sacre. In tutte permane questa sua fede e fioriscono sentimenti nonché emozioni con il proposito chiaramente “missionario” di restituire alTuomo una spiritualità che gli appartiene e una gamma di benefici artistici che si toccano con mano. Con D’Avola l’orecchio esulta e non soffre; il cuore palpita e non sussulta; il respiro è regolare. In D’Avola vincono la sonorità piena, l’impasto ricco di colori, la melodia che si spiega serenamente, la tonalità vera e non mascherata. Si fa virtù persino la “lunghezza” dei suoi brani, ossia la durata dei tempi: una sorta di “divina prolissità” schubertiana, che non appartiene ai ritmi della macchina e dell’elettronica, bensì a quelli millenari dell’uomo, degli astri, degli oceani, della natura.

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